"Non mi capisce nessuno!". Chi non lo ha mai pensato almeno una volta? Chi non si è sentito terribilmente incompreso almeno in un'occasione?
Cosa succede? Siamo davvero circondati da persone egoiste e senza cuore, incapaci di provare empatia, o c'è un problema di comunicazione alla base?
Siamo davvero vittime dell'insensibilità altrui o siamo in parte responsabili di queste incomprensioni?
L'articolo di oggi affronta il tema della validazione, ovvero del riconoscimento e della legittimazione delle emozioni provate da un'altra persona. Un concetto vicino a quello di empatia, che si riferisce invece al rispecchiamento delle emozioni altrui, che si ottiene mettendosi nei panni degli altri, fino a provare le stesse emozioni.
Cercheremo di capire cosa c'è all'origine del bisogno di essere compresi e del fallimento della ricerca di validazione. Inoltre, esamineremo le strategie messe in atto da ognuno di noi per ottenere il riconoscimento delle nostre emozioni, distinguendo quelle disfunzionali da quelle adattive.
C'era una volta un bambino con le sue emozioni...
All'origine del processo di validazione c'è, come è facile immaginare, il rapporto tra il bambino e la madre o, in mancanza di quest'ultima, di un adulto significativo. Il bambino, dunque, fin dalla nascita entra in sintonia con una persona, denominata caregiver, che ne riconosce le paure, il dolore, la sofferenza, e che risponde a queste emozioni in maniera più o meno adeguata. Gli studi di Bowlby hanno dimostrato come il bambino sia geneticamente predisposto a sviluppare un rapporto significativo con un'unica persona e come questo legame sia fondamentale per il futuro sviluppo dell'individuo.
Le capacità del genitore di accudire il bambino e di rispondere alla sua sofferenza saranno alla base dello sviluppo di credenze come "Il mio dolore può essere placato", "Gli altri capiscono ciò che provo" e "Le mie emozioni hanno un senso". Se, al contrario, la madre non è in grado di riconoscere le emozioni del bambino o, addirittura, tenta di reprimerle, la credenza che si svilupperà sarà "Il mio dolore non può essere sanato" e "Gli altri non possono capire ciò che provo".
Le strategie maladattive per ottenere validazione...
A volte ci aspettiamo che gli altri ci comprendano perfettamente, che riescano ad entrare in sintonia con noi e a capire le emozioni che proviamo senza alcun problema. Ciò non avviene sempre, e potrebbe in parte avvenire perché noi non siamo in grado di farci capire.
La responsabilità, insomma, potrebbe essere anche un po' nostra.
Nel corso del tempo può succedere di sviluppare strategie maladattive per ottenere il sostegno degli altri: lamentarci continuamente, piagnucolare, esagerare le nostre emozioni, ripetere sempre le stesse cose, accusare o punire gli altri, arrabbiarci, minacciare di andarcene, diventare aggressivi, tenere il broncio, mettere in atto comportamenti autolesivi.
Quante volte abbiamo sentito qualcuno dire "Sono anni che ripeto le stesse cose, ma non mi capiscono mai! Mi lamento tutto il giorno, ma nessuno capisce ciò che provo!". Bene, è evidente che la strategia utilizzata per ottenere validazione (la ripetizione, la lamentela) non è la più adatta.
In realtà tutti questi comportamenti non sono che richieste di aiuto, grida di allarme, disperati tentativi di ottenere attenzione e sostegno dagli altri. Il problema, purtroppo, è che questi comportamenti tendono a peggiorare i rapporti e ad allontanare le persone.
Cosa fare, dunque, fare per farci capire?
...e le strategie adattive
Ancora una volta, parlare con calma e chiarezza è il primo passo. Un'altro passo è quello di chiedere agli altri di riformulare cosa abbiamo detto, in modo da assicurarci che abbiamo capito. "Potresti ripetermi ciò che ti ho detto? Ho la sensazione di non essere ascoltato".
Un'altra strategia utile è esprimere con tranquillità e gentilezza cosa l'altro potrebbe fare per farci sentire meglio.
Ridurre le lamentele e i piagnistei e sostituirli con confronti chiari e pacifici non è facile, ma vale la pensa di fare uno sforzo e tentare.
Un altro metodo molto efficace per facilitare la comprensione dei nostri stati d'animo è ringraziare la persona che ci sta ascoltando per il tempo dedicato a noi. "Ti ringrazio. So che mi sto lamentando, ma sto davvero giù. Sei gentile ad ascoltarmi, lo apprezzo davvero tanto!". La riconoscenza per la disponibilità offerta gratifica l'altra persona, la fa sentire apprezzata, la rende più disponibile ad ascoltarci e consolida il rapporto. Inoltre, offrire il nostro tempo e ascoltare anche le lamentele altrui, invece di pretendere di essere solo noi quelli in diritto di lagnarsi, non potrà che fare bene ai rapporti interpersonali.
Nonostante tutti questi tentativi, purtroppo, gli altri potrebbero continuare a non capirci e a non riconoscere le nostre emozioni. Purtroppo a volte dobbiamo arrenderci! In questi casi, l'accettazione è la strada da percorrere. Accettare, cioè, che a volte non si è compresi, che gli altri non vogliono capirci, o non sono in grado di farlo a causa dei loro limiti. Potremmo allora provare sforzarci di pensare che, per quanto sia bello essere compresi, non è in realtà necessario e fondamentale. Potremmo provare a risolvere i nostri problemi da soli, a cavarcela senza l'aiuto degli altri, oppure cercare di fare nuove amicizie, cercando di circondarci di persone più comprensive e disposte ad ascoltarci.
Come dice il detto, non tutti i mali vengono per nuocere: forse queste incomprensioni potrebbero addirittura fungere da stimolo e da occasione per ristrutturare il nostro modo di rapportarci agli altri, dando una svolta alla nostra vita. Imparare a comunicare meglio, a lamentarci di meno, a parlare con chiarezza, a chiederci se anche gli altri hanno emozioni che devono essere riconosciute, allargare il nostro giro di amicizie, costruire legami più intensi e sani.
Il cambiamento, come sempre, inizia dall'interno: osserviamoci, chiediamoci se stiamo sbagliando qualcosa, pensiamo a modi alternativi di ottenere ciò che vogliamo.
E ricordiamo sempre se, anche se a volte le persone che ci circondano sembrano non dare ascolto alle nostre emozioni, ognuno può trovare in se stesso il suo migliore amico: ascoltiamoci, accogliamo le nostre emozioni, diamo un senso ai nostri bisogni, concediamoci uno spazio per esprimere ciò che proviamo.
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