giovedì 26 giugno 2014

La Meditazione di Amorevole Gentilezza

Immaginiamo di sentirci tristi e sfiduciati e di confidarci con un amico che ci vuole bene. Proviamo a pensare al calore che le sue parole di conforto riescono a donarci. La compassione, l'empatia, l'ascolto non giudicante e la sensibilità alleviano il nostro dolore e ci rendono più fiduciosi sulle nostre capacità di affrontare le difficoltà.


Contrariamente a ciò che comunemente si crede, la compassione non necessariamente deve provenire da un'altra persona. Spesso, infatti, sottovalutiamo il valore della compassione che possiamo provare per noi stessi.



Tra le tecniche cognitivo-comportamentali di terza generazione (la cosiddetta terza onda della TCC) una posizione di rilievo è occupata dal training mentale per lo sviluppo della mente compassionevole.

Paul Gilbert ha sviluppato la Compassion-Focused Therapy (CFT) che attinge in parte anche alle pratiche buddhiste. Le tecniche proposte possono essere applicate nel corso della terapia cognitivo-comportamentale o essere liberamente utilizzate da tutti coloro che desiderano sviluppare la capacità di provare compassione per se stessi e per gli altri.


In questo articolo parleremo in particolare di una forma di meditazione che fa parte delle tecniche tratte dalla CFT: si tratta della meditazione metta, o meditazione di amorevole gentilezza.









La tecnica


La parola metta nella lingua Pali può essere tradotta con l'espressione "gentilezza amorevole" ed indica un atteggiamento di bontà, cura e amore per ogni essere vivente.
La meditazione metta, se svolta regolarmente ogni giorno per circa 20-30 minuti, favorisce lo sviluppo della compassione verso tutte le creature della Terra, partendo da noi stessi, fino ad arrivare alle persone per cui proviamo rabbia o rancore.
Si tratta di una forma di meditazione antichissima, praticata da più di duemila anni.



I passi da seguire sono pochi. Si tratta, in realtà, di una tecnica estremamente semplice, ma che apporta benefici psicofisici notevoli se praticata per lunghi periodi.

I passaggi


Il luogo e la posizione 


Come in tutte le forme di meditazione, il primo passo è trovare l'ambiente adatto. Il luogo deve essere tranquillo, silenzioso, lontano da fonti di distrazione.
Troviamo la posizione più comoda: possiamo sederci su una sedia con i piedi che toccano il pavimento, sdraiarci su una coperta, camminare in un luogo tranquillo o sederci su un cuscino con le gambe incrociate. L'importante è essere comodi, a proprio agio e al riparo da distrazioni.



Iniziamo con dei respiri...


Il passaggio successivo consiste nel respirare in maniera naturale. I respiri non devono seguire un ritmo preciso. L'importante è che il flusso dell'aria entri ed esca dal nostro corpo in maniera naturale, senza forzature. Sciogliamo le spalle, le braccia, il collo. Il corpo è rilassato, i muscoli non sono contratti, gli occhi preferibilmente vengono chiusi, la schiena è dritta ma non rigida.



La ricerca della felicità


Fermiamoci un attimo a riflettere sul fatto che gli uomini di ogni epoca storica hanno ricercato la felicità. Da millenni le persone provano il desiderio di ricevere amore, bontà, compassione. E' una ricerca che ci accomuna, poiché anche noi, come tutti, tendiamo naturalmente alla felicità e cerchiamo di sfuggire al dolore. Dentro ognuno di noi c'è una motivazione innata a ricevere l'affetto degli altri.


Noi meritiamo l'amore. Come tutti.


Visualizziamo l'immagine di noi stessi da piccoli: eravamo innocenti, bisognosi di protezione e meritevoli d'amore incondizionato. Ebbene, lo siamo anche oggi. Meritiamo l'amore, il bene, la compassione. Proviamo a pensare a questo: il mondo è pieno d'amore e una parte di quell'amore è per noi.




La preghiera metta


A questo punto iniziamo a ripetere silenziosamente le seguenti frasi, seguendo il ritmo del respiro:

Che io possa essere pieno di amorevole gentilezza
Che io possa vivere sereno e in pace
Che io possa stare bene
Che io possa essere felice



Non è necessario utilizzare esattamente queste parole. Ognuno di noi è libero di scegliere le frasi che meglio esprimono l'augurio che desideriamo fare a noi stessi.
Continuiamo a ripeterle in silenzio. Ma soprattutto, sforziamoci di crederci. Noi davvero meritiamo la serenità, la pace, l'amore, la salute, la felicità. Auguriamoci tutte queste cose con sincerità e con gioia, come potremmo augurarle ad un caro amico per il quale desideriamo ogni bene.



Estendiamo l'augurio alle altre persone...


Dopo alcuni minuti, auguriamo le stesse cose ad una persona cara: un amico, un parente, una persona a cui vogliamo bene. Ripetiamo in silenzio: 

Che tu possa essere pieno di amorevole gentilezza
Che tu possa vivere sereno e in pace
Che tu possa stare bene
Che tu possa essere felice







Poi estendiamo l'augurio anche alle persone che non conosciamo bene ma che fanno parte della nostra vita: colleghi di lavoro, vicini di casa, la commessa del supermercato, il farmacista, il panettiere. Ripetiamo:

Che voi possiate essere pieni di amorevole gentilezza
Che voi possiate vivere sereni e in pace
Che voi possiate stare bene
Che voi possiate essere felici




Auguriamo queste cose anche alle persone che non conosciamo affatto, a quelle che forse non incontreremo mai, che vivono in un altro continente. Auguriamo il meglio all'umanità intera, ad ogni essere vivente della Terra.



Ora arriva la parte più difficile: augurare la felicità ai nostri nemici. Pensiamo alle persone per cui proviamo rancore, che provocano in noi sentimenti di rabbia. Mettiamo da parte l'ostilità e proviamo a vederli come esseri viventi degni di amore e compassione, esattamente come lo siamo noi, esattamente come lo sono tutti. Ripetiamo: 

Che tu possa essere pieno di amorevole gentilezza
Che tu possa vivere sereno e in pace
Che tu possa stare bene
Che tu possa essere felice




Potrebbe non essere facile all'inizio. Procediamo per tentativi: se risulta troppo doloroso o richiede uno sforzo troppo grande, fermiamoci e riconosciamo a noi stessi il merito di averci almeno provato. Il giorno dopo ritenteremo, sempre gradualmente.


A questo punto la meditazione è terminata. Sempre respirando apriamo gli occhi e abbandoniamo l'esercizio.


Sorridete: avete appena augurato la felicità al mondo intero! Da qualche parte nel mondo un'altra persona, meditando allo stesso modo, ha augurato la felicità anche a voi. 





domenica 1 giugno 2014

"Non mi capisce nessuno!". Quando le emozioni non vengono riconosciute.

La sensazione di essere compresi, sostenuti e appoggiati dagli altri è appagante. Sentire che le nostre emozioni e i nostri bisogni sono accettati ci fa sentire accolti e in sintonia con gli altri. In alcune fasi della nostra vita, il bisogno di essere capiti diventa più forte. Sentiamo l'esigenza di veder riconosciute le nostre paure, le nostre ansie e il nostro dolore. Questo, purtroppo, non sempre accade.



"Non mi capisce nessuno!". Chi non lo ha mai pensato almeno una volta? Chi non si è sentito terribilmente incompreso almeno in un'occasione?

Cosa succede? Siamo davvero circondati da persone egoiste e senza cuore, incapaci di provare empatia, o c'è un problema di comunicazione alla base?
Siamo davvero vittime dell'insensibilità altrui o siamo in parte responsabili di queste incomprensioni?




L'articolo di oggi affronta il tema della validazione, ovvero del riconoscimento e della legittimazione delle emozioni provate da un'altra persona. Un concetto vicino a quello di empatia, che si riferisce invece al rispecchiamento delle emozioni altrui, che si ottiene mettendosi nei panni degli altri, fino a provare le stesse emozioni.
Cercheremo di capire cosa c'è all'origine del bisogno di essere compresi e del fallimento della ricerca di validazione. Inoltre, esamineremo le strategie messe in atto da ognuno di noi per ottenere il riconoscimento delle nostre emozioni, distinguendo quelle disfunzionali da quelle adattive.


C'era una volta un bambino con le sue emozioni...


All'origine del processo di validazione c'è, come è facile immaginare, il rapporto tra il bambino e la madre o, in mancanza di quest'ultima, di un adulto significativo. Il bambino, dunque, fin dalla nascita entra in sintonia con una persona, denominata caregiver, che ne riconosce le paure, il dolore, la sofferenza, e che risponde a queste emozioni in maniera più o meno adeguata. Gli studi di Bowlby hanno dimostrato come il bambino sia geneticamente predisposto a sviluppare un rapporto significativo con un'unica persona e come questo legame sia fondamentale per il futuro sviluppo dell'individuo.   


Le capacità del genitore di accudire il bambino e di rispondere alla sua sofferenza saranno alla base dello sviluppo di credenze come "Il mio dolore può essere placato", "Gli altri capiscono ciò che provo" e "Le mie emozioni hanno un senso". Se, al contrario, la madre non è in grado di riconoscere le emozioni del bambino o, addirittura, tenta di reprimerle, la credenza che si svilupperà sarà "Il mio dolore non può essere sanato" e "Gli altri non possono capire ciò che provo".




Le strategie maladattive per ottenere validazione...


A volte ci aspettiamo che gli altri ci comprendano perfettamente, che riescano ad entrare in sintonia con noi e a capire le emozioni che proviamo senza alcun problema. Ciò non avviene sempre, e potrebbe in parte avvenire perché noi non siamo in grado di farci capire.
La responsabilità, insomma, potrebbe essere anche un po' nostra.

Nel corso del tempo può succedere di sviluppare strategie maladattive per ottenere il sostegno degli altri: lamentarci continuamente, piagnucolare, esagerare le nostre emozioni, ripetere sempre le stesse cose, accusare o punire gli altri, arrabbiarci, minacciare di andarcene, diventare aggressivi, tenere il broncio, mettere in atto comportamenti autolesivi.

Quante volte abbiamo sentito qualcuno dire "Sono anni che ripeto le stesse cose, ma non mi capiscono mai! Mi lamento tutto il giorno, ma nessuno capisce ciò che provo!". Bene, è evidente che la strategia utilizzata per ottenere validazione (la ripetizione, la lamentela) non è la più adatta. 



In realtà tutti questi comportamenti non sono che richieste di aiuto, grida di allarme, disperati tentativi di ottenere attenzione e sostegno dagli altri. Il problema, purtroppo, è che questi comportamenti tendono a peggiorare i rapporti e ad allontanare le persone.

Cosa fare, dunque, fare per farci capire?


...e le strategie adattive


Ancora una volta, parlare con calma e chiarezza è il primo passo. Un'altro passo è quello di chiedere agli altri di riformulare cosa abbiamo detto, in modo da assicurarci che abbiamo capito. "Potresti ripetermi ciò che ti ho detto? Ho la sensazione di non essere ascoltato".

Un'altra strategia utile è esprimere con tranquillità e gentilezza cosa l'altro potrebbe fare per farci sentire meglio. 
Ridurre le lamentele e i piagnistei e sostituirli con confronti chiari e pacifici non è facile, ma vale la pensa di fare uno sforzo e tentare.


Un altro metodo molto efficace per facilitare la comprensione dei nostri stati d'animo è ringraziare la persona che ci sta ascoltando per il tempo dedicato a noi. "Ti ringrazio. So che mi sto lamentando, ma sto davvero giù. Sei gentile ad ascoltarmi, lo apprezzo davvero tanto!". La riconoscenza per la disponibilità offerta gratifica l'altra persona, la fa sentire apprezzata, la rende più disponibile ad ascoltarci e consolida il rapporto. Inoltre, offrire il nostro tempo e ascoltare anche le lamentele altrui, invece di pretendere di essere solo noi quelli in diritto di lagnarsi, non potrà che fare bene ai rapporti interpersonali. 



Nonostante tutti questi tentativi, purtroppo, gli altri potrebbero continuare a non capirci e a non riconoscere le nostre emozioni. Purtroppo a volte dobbiamo arrenderci! In questi casi, l'accettazione è la strada da percorrere. Accettare, cioè, che a volte non si è compresi, che gli altri non vogliono capirci, o non sono in grado di farlo a causa dei loro limiti. Potremmo allora provare sforzarci di pensare che, per quanto sia bello essere compresi, non è in realtà necessario e fondamentale. Potremmo provare a risolvere i nostri problemi da soli, a cavarcela senza l'aiuto degli altri, oppure cercare di fare nuove amicizie, cercando di circondarci di persone più comprensive e disposte ad ascoltarci. 

Come dice il detto, non tutti i mali vengono per nuocere: forse queste incomprensioni potrebbero addirittura fungere da stimolo e da occasione per ristrutturare il nostro modo di rapportarci agli altri, dando una svolta alla nostra vita. Imparare a comunicare meglio, a lamentarci di meno, a parlare con chiarezza, a chiederci se anche gli altri hanno emozioni che devono essere riconosciute, allargare il nostro giro di amicizie, costruire legami più intensi e sani.



Il cambiamento, come sempre, inizia dall'interno: osserviamoci, chiediamoci se stiamo sbagliando qualcosa, pensiamo a modi alternativi di ottenere ciò che vogliamo. 

E ricordiamo sempre se, anche se a volte le persone che ci circondano sembrano non dare ascolto alle nostre emozioni, ognuno può trovare in se stesso il suo migliore amico: ascoltiamoci, accogliamo le nostre emozioni, diamo un senso ai nostri bisogni, concediamoci uno spazio per esprimere ciò che proviamo.